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20 Marzo 2006

FestivalBar

Venerdì sera, io e G non eran neanche le 20 che eravamo lì all’inizio di via Farini con la macchina in potenziale divieto di sosta e tutto un venerdìsera davanti. Vabè intanto la macchina la lasciam qui e speriam bene, poi lì c’è un bar e l’appuntamento è verso le 21 dietro al Duomo e facciamoci un bianchino valà.
L’appuntamento è per un aperitivo di compleanno di un’amica che è stata carina a invitarci e mi piacerebbe esserci e insomma la strada è tutta dritta, si attraversa il centro, quanto sarà, da qui a là? Un chilometro? Ci mettiamo un attimo. Anzi sai G cosa facciamo? Eh lo so che non aspettavi altro, e quindi ti accontento: FestivalBar! Un bianchino in ogni bar che incontriamo da qui fino al compleanno. E lui, sì sì! Con tappa speciale al sesto bar! Che la tappa speciale sarebbe poi un negroni o un americano invece del bianchino.
Nel frattempo avviso via sms un’altra amica che ci aspetta là: le dico che è iniziata questa cosa e magari facciamo un po’ tardi ma credo di no.
I primi due bar ci scivolano via che non ci sembra neanche, due prosecchini. Ah vè ma dobbiam cenare! Vabè ci pensiam poi dopo.
Al terzo bar basta prosecchi che tutte ste bollicine mi dan fastidio, alè, due bicchieri di traminer, un po’ anche in omaggio a lui, che io lui lo sappiam perchè. Incontriamo le amiche della mia morosa, che mi dicono un po’ di cose che poi il giorno dopo, parlando con la morosa, realizzo di aver capito proprio al contrario: significa che alla terza tappa cominciavo ad accusare. Eh oh, a stomaco vuoto.

La quarta tappa del FestivalBar si consuma in uno dei locali più fighètta dell’universo parmigiano. Un locale che i traminer di prima li avevo pagati 2 euro e mezzo l’uno, nel bar attaccato a questo, qua invece costano quattro l’uno. E fan cagare. In compenso G butta gli occhi su una biondona di fianco a noi, anzi spiaccicata contro di noi, che il posto è strettissimo ma devon stare tutti dentro a piluccare al bancone o a farsi stare addosso per il gusto di farsi stare addosso. Io sgomito per prendere i bicchieri di vino, che i furboski qua han fatto un bancone che c’ha una profondità di almeno tre volte la lunghezza di un normale braccio umano e bisogna allungarsi tutti tipo scena del film con me appeso con una mano sull’orlo del burrone e il barman che si allunga gridando “non mollare!”. Torno di fianco a G, il quale continua a farmi apprezzamenti sulla bionda che però è di spalle e non riuscirà mai a voltarsi e ok G, mi fido, adesso però usciamo che ho voglia di farmi esplodere. Usciti, facciamo alcune considerazione poco carine sulla gente del locale e proseguiamo.
Quinta tappa, una pizzeria. Qui si è aperta una piccola diatriba, che secondo me in quanto pizzeria non era valida ma insomma è fatta in modo che c’è un bancone che è proprio lì che si affaccia su via Farini e vabè, teniamola buona. Due traminer anche qui, meglio degli ultimi due, peggio di quelli della terza tappa. Usciti incontriamo un amico di vecchia data, l’ex della sorella di una mia ex (lo so, mica facile), diciam due stupidate che proprio non ricordo, guardo male quello che è con lui che c’ha la faccia da stupido e dice cose stupide e proseguiamo verso la sesta tappa.
La “speciale”.
Avviso con un altro sms che siam fermi alla “speciale” e insomma non tarderemo ancora molto, ce la possiam fare. Io insisto, G dai, niente speciale, niente americani o negroni, non abbiam neanche cenato, dai adesso vai lì e gli dici “bianco, fermo, cos’hai?”. Dai su, ripeti con me, ti dò il ritmo, bian-cofer-mocosai, bian-cofer-mocosai. Lo vedo che va verso il bancone, tiene il ritmo, ricorda la frase, apre la bocca e “ciao-due-americani”. Bravissimo.
Usciamo in strada (per i non parmigiani: via farini è tutta pedonale, tipo una specie di corso, non è che ero in mezzo al traffico col bicchiere in mano), dicevo usciamo in strada coi due americani in mano e mi arriva la risposta all’ultimo sms “Siamo venuti via. Stiamo andando a cena.”. Minchia, son le 22.20. Dovevamo esser là alle 21. Telefono all’amica per scusarmi, fatico un po’ a spiegarmi ma credo di esserci arrivato in fondo. Le parole però, me ne rendo conto, faticano ad uscire. Sono ufficialmente sbronzo.
Mando un messaggio all’amico lontano, che quando sono ubriaco divento romantico e nostalgico più del solito e gli scrivo “Stasera è una serata di coincidenze incredibili. Io e G siamo in pieno FestivalBar. Ci manchi.”. Lui: “Mi mancate anche voi. Che coincidenze?”. Io: “Ruttiamo insieme senza metterci d’accordo.”. Lui: “Straordinario. Adesso rutto anch’io.”. Son cose.
Finito l’americano, abbandonata la meta finale, con un po’ di amici che nel frattempo ci han raggiunto e che resisi conto delle nostre condizioni ci supportano pazientemente andiamo a finire la serata in un altro wine-pub-american-bar.
Di qui in poi ho solo dei flash, grazie anche a un altro paio di long island.
Tipo che son fuori del locale appoggiato al muro che parlo con un amico di “Q”, il libro dei Wu Ming, e ci incendiamo e ci esaltiamo a parlarne e la gente attorno non capisce.
Tipo che mentre son lì a incendiarmi e a esaltarmi passa una tutta completamente vestita in beige, dalla sciarpa alle scarpe: mi blocco, la guardo e le dico “eh vaaaa come sei bèèèèis!”. Lei sorride piena di compassione e prosegue.
Poi mi raggiunge la mia morosa, che non resta sorpresa delle mie condizioni visto che era stata preventivamente avvertita verso le 21, e mi racconta della sua serata: in quanto sorcina è stata a Bologna a vedere il suo Renatone Zero in concerto. Cerco di esprimere partecipazione alla sua euforia ma non mi riesce granchè bene, me ne rendo conto e per rimediare, non so quale sia il collegamento mentale che ho fatto, ma mi ci metto a ballare un tango lì davanti al locale.
Lei partecipa, si lascia accompagnare, e poi… mi porta a letto. La capisco, concordo e la lascio fare.