La Svizzera
Uno dei momenti della vita di paese che mi piace di più, è quando vado a donare il sangue, tipo poco fa. La macchina organizzativa, gestita da gente di una certa età (e di un certo livello) è impeccabile. Nel tempo si sono adattati ai pc, ai codici a barre, si son modernizzati, ma il vecchietto col fare da militare che smista le schede all’accettazione è una roba che non esiste progresso che lo riesca a rimpiazzare. E non osare a prendere il numerino (tipo al banco carne) prima che te lo dia lui, la prende come un affronto personale.
Ma il momento più bello, di quando vai a donare il sangue, è dopo che hai donato, quando hai libero accesso alla stanza-cucina, imbandita di ogni bendiddìo: crudo, salame, aggiughe, micche di pane appena sfornate, malvasia secca. E giuro, dopo che t’han tolto quattro etti di sangue, c’hai una fame che neanche tre uanne in stecca. (“Uanne”, l’ho sentito l’altra sera, è un modo giòvane di chiamare le canne). E infatti ora son qui mezzo imbriaco, in ufficio, che scrivo invece di lavorare.
Bè, dicevo, oggi scendo giù e nella cucina, che è una stanza un po’ bassa con un tavolone al centro, tipo quattro metri per una dozzina di posti a sedere, e un bancone da bar in fondo, ecco, al bancone del bar c’è il signore addetto ai caffè e all’animazione, che oggi, dio sa dove l’ha trovato, c’ha un grembiule rosso con una croce bianca in mezzo. C’ha la bandiera della svizzera legata al collo, praticamente. E attorno ai suoi 110 chili di benessere. E quando un altro signore gli chiede se di recente è stato in Svizzera, lui, dall’alto del suo bancone da bar, risponde: “Io no che non ci vado in Svizzera, in un posto che gli permettono di fare dei grembiuli con la propria bandiera. Io, se ero il comandante della Svizzera, a quello che ha fatto quel grembiule qui lo mettevo in galera!”. E l’altro “Bè allora dovrebbero farti te, il comandante della Svizzera”.
In paese, certi nomi, nascono così: lui lì, da oggi, sarà il comandante della Svizzera.