Figlio del vento
Da giovane, ero uno sgaloppino, che vuol dire che ero abbastanza sveglio, e per giovane sto parlando di quando avevo 14 anni. Il tempo poi ha rincoglionito un po’ il tutto. Ai tempi però ero sveglio. Ai tempi avevo una morosina che per baciarla con la lingua avevo dovuto pregare per 3 (TRE) mesi, che lei diceva che non se la sentiva, che era un passo importante, e io a spiegarle che non era mica niente di impegnativo, che non è che ci saremmo sposati per una punta di lingua nè c’erano pericoli di venir chiamata mamma a breve, anzi sarebbe stato divertentissimo. Però insomma mi aveva fatto faticare, ma mi piaceva tanto, che faceva la ballerina e per me averci la morosa ballerina era una roba da tirarmela mica poco, che qui in paese di ballerine ce n’era mica tante. Va anche detto che passato lo scoglio della lingua altre piacevoli cose erano seguite senza troppe insistenze. Niente di che eh, però per uno di quattordici anni in preda a sberle ormonali da non capir più niente erano emozioni più che sufficienti. Che poi non l’avevo mica capito perchè tre mesi per la lingua e poi nessuna storia per le mani addosso, ma insomma, si vede che era questione di scollinare, passata la cima tutta discesa, mi ero risposto.
E insomma c’era che lei era spesso a casa da sola, che sua mamma aveva un negozio qui in paese e al pomeriggio era sempre in negozio e il fratellino era dalla nonna, e capitava che io l’andassi a trovare di nascosto. Come dicevo, non si faceva niente di che, cioè sì bello eh i baci e le mani e tutto il resto, ma avevo anche quattordici anni, e capitava anche che le giornate le passassimo sul Commodore64.
Ma non quel pomeriggio.
Quel pomeriggio eravamo sul divano, saran state le 16.30, a dirci ti voglio bene e sei la ragazza più importante (tralasciando che fosse anche praticamente la prima) e a darci i baci lunghissimi, non ricordo bene come, probabilmente a frullo tipici di quell’età , ma mi ricordo che eran lunghi molto. E insomma eravamo tutti lì presi che tanto la mamma era in negozio, che sentiamo rumore di chiavi contro la serratura della porta d’ingresso. Ostia. Questa è sua madre che non so cosa ci fa ma sicuro è sua madre, e se non è sua madre è suo padre che è vigile urbano incazzosissimo. Corri. Figlio del vento, corri. Salto giù dal divano, lei mi sgrana gli occhioni pregandomi di passare dallo stato solido allo stato gassoso il più alla svelta possibile, penso che è meglio se scappo da dietro. L’appartamento è al piano terreno di un condominio. Penso che il balcone della sala è all’altezza del giardino, più o meno a una spanna da terra, ma di lì non posso scappare che sua madre è ormai dentro, allora mi fiondo in camera dei suoi, che ci sarà una finestra o un balcone da dove saltare. Balcone. Salto, praticamente a occhi chiusi.
Ora vorrei fare due chiacchiere con l’architetto che ha fatto quel palazzo, che ok che i garage da qualche parte li dovevi pur mettere, ma proprio sotto il balcone della camera dei suoi?!? Ad aver avuto più tempo e meno paura me ne sarei accorto, ad accorgermene avrei affrontato il salto in maniera meno brillante. E invece no. Olio Cuore. Quattordici anni e non sentirli. Un volo della stramadonna. Atterro più o meno in piedi, rotolo un po’, finisco contro il portone del garage facendo un rumore tipo Dazhongsi, detto anche Tempio dela Grande Campana, in Cina. Mi rialzo, sembro ancora intero, corro verso la bici e realizzo di essere, indiscutibilmente, un pirla. La mia bici l’ho lasciata davanti all’ingresso del condominio. La mia bici sua mamma la conosce. Sua mamma è al balcone che mi saluta. Buongiorno signora.
Ogni tanto mia madre si trova ancora in negozio da sua madre, e se la ridono di quanto era pirla suo figlio quando saltava giù dai balconi.