« - Home Page - »

03 Agosto 2005

Afro e la pesca

Con quei caldi qui, con questo sole qui, quando avevo sui 15 anni e aspettavo di partire per la montagna coi miei, io in questi periodi andavo a pescare. Io e Afro, il mio amico pescatore: aveva la mia stessa età ma era figlio di un pescatore, e fin da bambino girava per laghetti con la canna da pesca, e aveva attaccato un po’ la mania anche a me.
Ci si trovava, verso le due, in bicicletta tutti armati di canna cassetta e cappello (le tre C del giovane pescatore) e si pedalava in mezzo alla campagna, con l’asfalto che fa quell’effetto vibrello per via del caldo, fino alla cava prescelta. Questi laghetti erano delle cave non custodite e piene d’acqua: non ho mai capito bene cosa ci facessero lì in mezzo al nulla e chi ci avesse messo dentro i pesci, ma eran lì, eran gratis, non serviva la licenza (forse), perchè non apporfittarne? Prendevamo soprattutto pescegatti e carpe: le carpe le peschi col mais, lo stesso che si usa nelle insalate: io oggi non ce la faccio a mangiarlo, il mais, lo abbino ai begatini (vermetti, càmole) che usavamo per i pescegatti e mi viene un po’ di rigetto se me lo trovo nell’insalata.

Una volta, saran state le tre del pomeriggio, stavamo venendo via dalla cava di Bedotti (ogni cava ha il nome del proprietario dei campi lì attorno) e il caldo era davvero insopportabile, eravamo poi lì da un paio d’ore e non c’era proprio aria, fatto sta che insomma dai andiamo che oggi non si prende niente, tiro su la bicicletta che era coricata in mezzo alla strada sterrata che portava da quella asfaltata al laghetto, salto su anche piuttosto brillante, dò due pedalate e mi cade la catena.
Afro arriva e controlla accucciato con me cosa è successo.
Eh è caduta la catena, che però essendo una bici vecchissima è tutta chiusa dentro un carter che sembra saldato. Mentre mi rialzo prendo contro alla mia gamba con la canna da pesca e mi si pianta l’amo in una coscia. E l’amo, si sa, è fatto per non venir via. Mi metto a stiracchiarlo, con un male boia e non faccio caso a cosa fa Afro. Afro è lì che guarda, solo che Afro è sensibile al sangue e quelle robe lì, fatto sta che mentre son lì che smadonno a testa china cercando di far uscire l’amo sento il rumore di Afro che cade svenuto in mezzo allo sterrato.
Mi prende un po’ di sconforto: sono in piedi, in mezzo alla Pampa, con la catena della bici inaggiustabile, il sole a picco a millemila gradi, un amo piantato in una gamba (convinto che non ne sarebbe mai uscito) e l’amico svenuto davanti a me. Mi viene un po’ da piangere, ma meglio di no.
Scuoto un po’ Afro che si riprende ma rimane bianco come uno straccio e ci mettiamo in marcia: io zoppico con la canna da pesca in mano e l’amo piantato e trascino la bici che ha la ruota dietro bloccata che la catena s’è fatta su, Afro trascina sè stesso di fianco a me senza salire sulla bici che ha paura di non farcela.
Da lontano la zia di Afro, che abita sulla strada, vede la scena di queste due anime in pena e ci viene incontro chiedendoci se va tutto bene, poi ci fa entrare in cortile da lei, ci fà sedere a un tavolino all’ombra e ci dà qualcosa per riprenderci. Cosa dai a due ragazzini messi così? Un bel bicchierone di aranciata fresca fresca? Una cocacolona? No, due bicchieri di nocino a testa.
Afro riprende colore, io mi invaso e sento che posso farcela, l’amo può venir via, non fa male NONFAMALE!: dò uno strattone e l’amo esce. Esce però anche molto sangue.
Sento “BONK!” sul tavolino. Afro non ha retto.
Dopo quella volta, sia io che Afro abbiamo messo da parte le canne da pesca: abbiamo continuato a vederci, canne ne giravano, ma basta pesca.