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17 Luglio 2007

La scoperta dell’outlet

Io non l’avevo mica capito bene, cosa sono gli outlet. Ero convinto che erano una roba tipo un mercato però con degli sgabbiozzi fissi. M’han detto “eh è tipo un paesino con delle casette e in ogni casetta c’è un negozio” e allora io, che c’ho la fantasia bucolica, m’ero immaginato tutta una robina piccolina, tipo il paese dei Puffi, però con al posto dei funghi delle casette di quattro metri per quattro e una commessina piccolina in ogni casina.
A dirla tutta, mi sfuggiva anche il significato della parola outlet in sè, e forse m’è ancora poco chiaro, sapevo che centrava qualcosa con “robba bona a poco prezzo” ma non capivo perché. Immaginavo fosse un po’ fallata. Invece da quel che ho capito è solo vecchia di un anno, ma non son mica sicuro.

Sabato allora, ero in giro con la morosa tra Piacenza e Fidenza, e a Fidenza c’è il Fidenza Village, che è un outlet, siam passati lì vicino e le ho detto “dai ma fermiamoci qui al Fidenza Village, che così capisco finalmente come son fatti, sti outlet”. Lei, chiaramente, non ha opposto alcun tipo di resistenza (e dove lo trovi un moroso che ti chiede di fermarti all’outlet?).

La prima cosa che ho capito, è che di piccolo, lì dentro, non c’è proprio niente. L’ingresso sembra di entrare a Gardaland o Mirabilandia, che han tirato su una roba che vuol sembrare l’entrata di un castello. Poi quando sei dentro sembra di essere in un borgo medievale, però si capisce che è tutto posticcio. Tutto posticcio a parte la gente, che entra a folate tipo le armate di un esercito: loro son più credibili, medievalmente parlando.
La prima cosa che compro è una cialda ripiena con mezzo chilo di gelato sopra: il gelato non è dell’anno scorso, perché costa come da tutte le altre parti.

Poi ci dividiamo: lei deve vedere delle robe in una profumeria che sembra più un negozio di frutta e verdura (va molto di moda, ultimamente, vendere profumi che sembra che vendi rapanelli), io devo ancora orientarmi ed entro per i fatti miei nel negozio della Nike. Il rapporto commesso-cliente, negli outlet, è piuttosto libero: il cliente gira per i fatti suoi e il commesso non gli sta addosso finché il cliente non lo chiama. Io vorrei prendere un paio di Nike+ con l’affarino per usarle in combinazione con l’iPod. Non ne vedo, e non ho voglia di sgomitare con tutti i rapper della provincia di Parma riuniti in quel negozio in occasione di una particolare promozione che c’è quel giorno, quindi faccio un gesto a una commessa e le spiego cosa voglio. Quando lei mi dice, come se parlasse a uno che non esce di casa da una vita, “ma no, sono nuove, le avremo l’anno prossimo!”, è a quel punto che mi viene il sospetto che il concetto di outlet sposti indietro di un anno ogni desiderio di acquisto. Me ne esco un po’ affranto, che non è mica colpa mia se non lo sapevo, e anche con l’aria un po’ scema, che c’ho ancora la cialda di gelato in mano, e mi sento sempre un po’ scemo quando cammino e lecco il gelato.
Finisco il gelato e giro ancora per il resto dell’outlet, saranno una quarantina di negozi in tutto, a tratti incontrandomi con la dolce metà, che a ogni incontro ha una borsa in più, a volte incontrando gente che conosco e che cosa ci fa lì di preciso, un po’ come me, non lo sa bene. Per sentirmi parte del sistema outlet compro un paio di infradito, non che ne abbia un gran bisogno, ma insomma tutti compran qualcosa, farò mica quello che va in giro a braccia squassanti (dialettalmente, a mani libere)?

C’è una ragazza svenuta distesa su una panchina, e il moroso le tiene alte le gambe: mica è una roba da tutti, un pomeriggio a far compere con un caldo del genere, però evidentemente è una cosa che succede spesso, perché non c’è nessuno che si fermi a chiedere se serve una mano o una bustina di zucchero. Vorrei fermarmi io, ma lui ha un’aria tipo “cazzo, mi porti all’outlet, mi fai fare chilometri a piedi e poi svieni anche?” quindi lascio stare.

Mi ritrovo con Elisa, e decidiamo di finire i giri stando insieme (il senso di smarrimento cominciava ad essere insopportabile). E così, insieme, entriamo nel negozio di Versace.
Io, in un negozio di Versace, non c’ero proprio mai entrato, e il primo manichino mi spiega perché: abito da sera da donna, prezzo pieno 6.700 euro, prezzo outlet 4.200, prezzo con ulteriore sconto 3.100. E non era nemmeno uno dei più cari. Giriamo un po’ e ne vediamo altri, tutti sopra i tremila euro. E’ a quel punto che la natura mi viene in aiuto e mi compare un sorrisino che lei mi fa “cosa ridi?” e io “no, niente, poi ti spiego” e giriamo ancora un po’ in mezzo a insulti alla miseria fatti a forma di abito da sera, e mi rimane il sorrisino fino all’uscita. Una volta fuori mi fa “Allora, cosa avevi da ridere?”, e io, candido, “guarda, una soddisfazione che mai prima d’ora: ho scoreggiato nel negozio di Versace”.
A quel punto il pomeriggio non ha più obiettivi: più leggeri di soldi, e io anche d’aria, torniamo a casa.