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06 Ottobre 2005

Il foglio rosa

La storia è di quelle un po’ incredibili, di quelle che nei paesi poi ne parlano per un po’.
C’era un giovane che aveva appena preso il foglio rosa (quel documento che diceva, ai tempi, che stai dando la patente e puoi guidare se accompagnato da uno patentato), che non era ancora salito su di un’auto, che aveva una vaga idea del fatto che ci fosse una specie di movimento “alzo un pedale ne abbasso un altro” per far muovere un automobile, che però sapeva che lì in basso di pedali ce ne son tre, e se abbiam due gambe vuol dire che uno dei tre pedali serve a poco, fatti salvi i superdotati.
C’era un’altra giovane, un po’ meno giovane, cugina di quest’ultimo e che per quest’ultimo aveva un’adorazione che lo rendeva, ai suoi occhi, una persona in grado di portare a termine nel migliore dei modi qualsiasi sfida la vita gli presentasse. Lo credeva persino capace di guidare un’auto senza che fosse mai salito dalla parte del guidatore.
E infine c’era una madre, premurosa, protettiva, portata per DNA alla preoccupazione oltre livelli accettabili, e sorpattutto in tempi brevissimi, combinazione che le faceva ritenere che il giovane di cui sopra, suo primogenito, fosse sì un bravo ragazzo ma non un genio in ogni campo, e soprattutto che non fosse nato imparato nel campo della conduzione di veicoli a motore e a quattro ruote.
Un bel pomeriggio, di tanti tanti anni fa, la cugina, saputo che il giovane era fogliorosadotato, si presentò sotto casa sua e gli disse:”ehi, bel ragazzo, perchè non mi porti a casa tu oggi?”. Il giovane rimase un po’ perplesso, indeciso sul da farsi. La madre, guidata dai suoi poteri extrasensoriali, saltò fuori dalla finestra urlando “PER L’AMOR DEL CIELO, NO!”.
La cugina continuò:”Dai, abito solo due curve da qui, una a destra e una a sinistra, ci vuol mica niente: suvvia saran 50 metri!”. Il giovane aprì il cancello e si mise di fianco all’auto, quasi convinto di potercela fare. La madre, sempre alla finestra continuava ad urlare a squarciagola “NO NON FARLO!”.
Il giovane aprì la portiera e salì.

Le urla, all’interno dell’auto, una Fiat Panda 75 beige con tettuccio morbido, arrivavano ovattate. La cugina adorante si mise al suo fianco nel lato passeggero:”dai, accendi che andiamo”.
La chiavetta girò, la macchina andò in moto. “Alza un pedale abbassa l’altro e il terzo chissenefrega” pensava tra sè il ragazzo. Infilò la marcia facendo il movimento descritto sul pomello del cambio dove era indicato il numero uno. Alzabbassa. L’automobile si mosse e partì. Grida ovattate.
“Beh, ci vuol mica poi tanto…” pensò tra sè. La cugina lo fissava compiaciuta e fiera. “Ok ora metti la seconda…” disse lei. “Dove è?” rispose lui.
Un brivido, il gelo, brina all’interno del parabrezza. “Come dove è?” disse lei incredula. “Eh.” ribattè il ragazzo.
E la curva si avvicinava.
“Vabbè la faccio in prima”.
La Panda proseguiva il suo percorso, balzellando un po’, affrontando la prima curva, con il suo motore che pregava per una seconda, gaaagaaagaaaagaaaagaaa continuava, ma di seconde, neanche l’ombra.
Ovattate grida.
La cugina si rese conto di aver sopravvalutato il suo prediletto quando sentì dalle di lui labbra partire un sonoro madonnone per il semplice fatto che c’era un ciclista venire verso di loro. Il ciclista era il figlio della cugina, che pedalava allegro in mezzo allo stradello.
Dovette pensare velocemente, il giovane: la situazione non era prevista, un ciclista in mezzo alla strada, un pericolo, per di più parente stretto della donna accanto a lui, sarebbe stato un fatto increscioso stirarlo in giovine età.
“Allora, abbiam tre pedali, uno non serve, cosa faccio? Ne schiaccio forte uno dei due che ho sotto i piedi e vedo di sterzare anche un po’”.
La piccola, leggera, vecchia Panda schizzò a destra come se scivolasse su un buccione di bananone. Il muro dei vicini di casa fermò la scena in un rumoroso accartocciarsi di fanale paraurti ruotadestra e lamiera sottile.
Secondo madonnone, dai contenuti più impegnativi questa volta.
I due cugini si guardarono con gli occhi spalancati, il piccolo ciclista immobile a fissare la macchina contro il muro.
Un ovattato “LO SAPEVO!” della madre, arrivò da lontano.
Il giovane, traumatizzato, scese e corse via, verso casa, dribblò la madre piantata a braccia conserte sulla porta, si infilò su per le scale e si mise a letto. Erano le 16.30 di un caldo pomeriggio di fine giugno del lontano 1992. Rimase coricato fino al mattino dopo e nessuno venne a cercarlo.
Il giovane quell’estate lavorò sodo, per pagare un po’ di muro e un po’ di Panda, che alla fine la cugina volle accollarsi metà delle spese.
Ancora oggi, quando il giovane, ormai meno giovane, chiede alla cugina di fargli provare l’auto (ora un potente fuoristrada), il “NO!” corale di entrambe le donne si spande per l’intera piana padana, a ricordare a ogni persona quell’episodio, sollazzo per molti e mònito a tutti, di quanto a volte l’affetto possa accecare l’obiettività.