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17 Settembre 2005

Dimmi di che materia è fatta questa vita (cit.)

Siamo una generazione che qualcosa è andato storto. Siamo quelli che alla fine si svacca. Alla fine non si pensa. Si torna a casa con l’amico che a un certo punto della serata non ne può più, che tutto va troppo storto per continuare a far finta di divertirsi, che a un certo punto ti dice dammi le chiavi della macchina, son stanco, dammele che mi metto lì e dormo e tu continua a fare quello che si diverte. Siamo quelli che forse non è andato storto niente, che pensiamo che qualcosa sia andato storto solo perchè siamo diversi da chi c’ha cresciuto, da chi pensava che le cose fossero come quando son cresciuti loro e allora se a noi succedono cose diverse pensiamo di esser sbagliati, ma in realtà è solo che le cose son diverse, gli incastri sono un’altra cosa, i meccanismi sono altri.

E sei lì che guidi con la mano fuori dal finestrino che se la tieni lì entra più aria e ti sembra di respirare meglio, ascolti una musica che è mezza elettronica e mezza di una volta e chi l’ha scritta capisci che è come te, a metà tra le cose nuove e quelle vecchie, a cercar di capire come funziona questa cosa che sa di poco, o forse non sa di abbastanza perchè non sai di cosa deve sapere e pensi così che non sia quello il sapore che ti dovevi aspettare. E’ un errore indotto, di oggettivamente sbagliato non c’è niente, di sbagliato c’è solo la tua sensazione di non essere a posto. E’ un male comune ma non è un mezzo gaudio, è un fastidio moltiplicato per tutti quelli che son cresciuti come te, troppo veloci per poter riconoscere le cose ti han spiegato, troppo lenti per poterle metabolizzare.
E lo guardi, il tuo amico, mentre guidi, lì di fianco a te tutto accartocciato, sul suo mal d’essere, sul peso che nessuno gli ha costruito apposta ma che comunque si ritrova addosso e pensi cazzo che culo, almeno io riesco a guidare, ma poi pensi che il venerdì prima erì lì al suo posto, accartocciato addormentato senza guidare e magari lui ti guardava con gli stessi pensieri mentre era lui al volante. E attraversi la città alle 4 del mattino con gente che urla, gente che litiga, gente che mangia un panino per il gusto di fare qualcosa di diverso, pensando che alla fine siam tutti uguali, non sappiamo come muoverci e finiamo per esser disarticolati, ma non ci riconosciamo, non ci vediamo, non lo capiamo che siam proprio fatti tutti uguali. Basterebbe guardare chi ti sta di fianco, cercare di sorreggerlo e dirgli ehi siamo a casa, è ora che scendi e vai a letto, il primo che si sveglia chiama l’altro. Il sorreggersi a vicenda, quando si è spaesati, il sapere che c’è qualcuno messo come te, qualcuno che se vuoi sa dirti va bene, lasciati andare, tutto si sistema perchè in un modo o nell’altro bisogna pur crescere, appoggiamoci uno contro l’altro perchè non c’è niente che va male, siam solo noi che dobbiam capire che le cose non sono come ci hanno spiegato che dovevano essere, ma vanno come dovevano andare.